LE CRONACHE - CENERI ARDENTI

Atto I
È con grande onore,» esordì lo Scrivano generale Trokev dell’Alto comando medusano, «che sono qui oggi, per consegnare alle Ceneri Ardenti questo diploma di encomio per l’eccezionale valore dimostrato nel contrastare i nemici dell’Imperium e proteggere le operazioni di evacuazione dei civili nel settore Articus. A nome dell’Imperatore dell’umanità e dei Sommi signori della Terra, vi porgo i più sentiti ringraziamenti per la vostra dedizione e per il vostro sacrificio. Molti uomini sono caduti nei furibondi combattimenti, ma nessun eroe morto in battaglia è mai morto invano. Gran maestro Arcesio Laertes, possa la luce della gloria del vostro Capitolo rischiarare le tenebre degli spazi interstellari».
La sala grande della nave da battaglia Qoeleth fu scossa da un fragoroso boato, mentre le voci di quasi tutti i marine delle Ceneri Ardenti sopravvissuti agli scontro su Medusa V lanciavano urla festose. Il loro Magister Militum aveva sì spezzato una tradizione millenaria di segretezza e anonimato, ma li aveva condotti dritti tra le braccia del trionfo. Non c’era soldato in tutto il Capitolo che non fosse convinto che quello potesse essere l’inizio di una nuova epoca, un evento che sarebbe stato scolpito a caratteri cubitali nella loro storia, forse paragonabile soltanto alla Rifondazione capitolare di quasi seimila anni prima.
Ma l’inizio di una nuova era non è necessariamente un evento che tutti salutino con gioia. In un grande frastuono, i silenzi riescono a nascondersi meglio. Ma quando sono estremamente vicini è impossibile non accorgersene. Laertes constatò con amarezza che, nonostante la vittoria, nessuno degli altri Magistri del Capitolo si era unito ai festeggiamenti. E probabilmente neppure i loro seguaci.

«Vorrei sperare che questo giorno segni la fine della tua follia, Laertes,» esordì più tardi il Magister Reclusium Xenocrates, durante la riunione del Cumclave, «ma dubito seriamente che la tua sete iconoclasta verso le tradizioni possa placarsi dopo una singola soddisfazione, o mi sbaglio?»
«Intendi ritornare a una vita nascosta, combattendo per l’Imperium e sparendo dai campi di battaglia prima dell’arrivo di quelli che dovremmo chiamare alleati?» chiese a sua volta il Magister Militum, «mi dispiace per tutti voi, ma per come sono messe ora le cose non è una strada che possiamo perseguire».
«Questo non spetta a te deciderlo, ma al Cumclave Magistrorum! Le leggi stabilite dai nostri predecessori sono chiare, e tu le hai già infrante una volta, portandoci su questo pianeta senza consultarci».
«Ovvio, altrimenti non avreste mai accettato e staremmo vagando tra le stelle alla ricerca di un pianeta poco abitato da difendere senza essere visti».
«Tu ammetti…» il Magister Reclusium balzò in piedi in uno scatto d’ira, «dammi solo una buona ragione per cui questo Cumclave non dovrebbe esautorarti dai tuoi incarichi oggi stesso mandarti a morte come un traditore!»
Il Magister Librarium Sophocles fece per prendere la parola cercando di mediare tra i due, ma Laertes fu più rapido a rispondere:
«Ci sono almeno due buone ragioni, Xenocrates, non una sola. Primo, quasi tutti i soldati del Capitolo mi adorano e sarebbero disposti a morire per me. E voi non volete rischiare una guerra civile contro i vostri sostenitori, giusto?»
Da tutti gli altri Magistri si alzarono urla di protesta che si accalcavano le une sulle altre e, solo quando ebbe ottenuto di nuovo il silenzio, Laertes poté continuare a parlare:
«Secondo, siamo un Capitolo comparso dal nulla, di cui si sa poco e niente, non registrato su alcun documento ufficiale dell’Imperium ma che porta insegne simili a quelle di un altro capitolo, scomparto quasi seimila anni fa. Potete scommetterci quello che volete: abbiamo di sicuro gli occhi dell’Inquisizione già puntati addosso. Dovremo comportarci in maniera più che irreprensibile per un bel po’ di tempo, prima che quelli allentino la presa».
«Avevi pianificato tutto dal principio, non è vero?» domandò il Magister Armamentarium Archimedes, con voce atona.
«Diciamo che mi aspettavo una cosa del genere».
«Allora non ci lasci molte speranze, a quanto vedo. Ci costringi a partire da subito per una nuova campagna».
Laertes annuì. «A proposito, fratello Hippocrates, come sono andate le procedure di reclutamento di nuove reclute tra la popolazione medusana?»
«Anche se riuscissero tutti ad arrivare indenni fino all’impianto del carapace nero, non basterebbero per rimpiazzare tutti i caduti,» ripose il Magister Medicamentarium.
«Non importa, la nostra forza è ancora maggiore di un normale Capitolo. Da questo punto di vista i nostri predecessori hanno fatto bene ad abbandonare il Codex Astartes. Il che però è anche un motivo in più per desiderare che gli occhi dell’Inquisizione stiano lontani da noi».
«Non lodare le nostre tradizioni quando ne sei il primo trasgressore,» lo redarguì Xenocrates.
«Nella tradizione ci sono cose buone e altre meno buone, non dobbiamo uniformarci passivamente. I tempi cambiano, dobbiamo essere in grado di cambiare con loro».
«La tradizione però è qualcosa di già consolidato e messo alla prova nelle situazioni più diverse, Laertes,» gli disse calmo Sophocles, come un maestro che fa lezione a un bambino, «onestamente non capisco tutta questa voglia di sfrondarla per poi rattopparla con pezzi diversi e incoerenti con l’impianto».
«Quasi peggio di un macchinario degli Orki,» bofonchiò Archimedes.
«Di filosofia discuteremo un’altra volta, eh, che ne dite? Passiamo a questioni più serie. Devo informarvi che abbiamo ricevuto una richiesta di soccorso da parte di un pianeta imperiale sotto violento attacco. Si chiama Faaris IV, se non ricordo male…»

Atto II

L’arrivo su Faaris IV

Dopo essersi presentato allo staff del governatore planetario Marcus Sarus Navarre e aver discusso con loro della situazione strategica del pianeta, Arcesio Laertes diede l’ordine alle proprie truppe di sbarcare nei pressi del confine settentrionale del settore Valar, pattugliando la striscia di territorio tra la colonia Ganimes e la colonia Salice. Il loro compito era prettamente difensivo: respingere i nemici e difendere civili e installazioni. Per la gloria dell’Imperatore.

«Così però i soldati perdono morale. Se vuoi che continuino a supportarti devi dargli battaglie da combattere e gloria da raggiungere. Altrimenti cominceranno a pensare che forse era meglio continuare a seguire le vecchie tradizioni e si schiereranno con Xenocrates o, peggio ancora, con Archimedes. Lo sai bene anche tu, Arcesio».
Macrobio Callichles, il capitano della prima Compagnia era l’unico in tutto il Capitolo a chiamare abitualmente per nome il Magister Militum. I due erano stati reclutati nello stesso periodo dallo stesso pianeta, erano stati compagni di branco quando erano ancora novizi ed erano stati sottoposti all’ordalia del rituale del Coccodrillo nello stesso giorno. Quando si chiamavano “fratello”, il termine acquisiva un significato molto più profondo di quello che avrebbe avuto tra due altri Space Marine qualsiasi.
«Lo so,» rispose imperturbabile Laertes, guardando fuori dalla finestra dell’edificio.
«Tutto qui? Un semplice “lo so”? Oh, andiamo, mi aspettavo un po’ di più dal primo uomo che ha messo sotto scacco il Cumclave Magistrorum. Non vorrai dirmi che adesso hai le mani legate da un semplice governatore planetario?»
«Non posso prendere iniziative affrettate, devo aspettare il momento giusto. Abbiamo già attirato l’attenzione di due inquisitori, e voglia l’Imperatore che questi non vengano a sapere l’uno dell’altro».
Callichles era perplesso: «e me lo dici con questa calma? Tu mi stai nascondendo qualcosa».
Laertes sorrise sarcastico: «diciamo che ho già in mente qualcosa e i fili hanno già cominciato a muoversi».
«Cerca solo di farli muovere il più in fretta possibile».
«Sta’ tranquillo. Sono o non sono “il più grande stratega che il capitolo abbia mai visto dai tempi del nostro primo Gran maestro Anuriel”?» proprio con quelle parole il Cumclave Magistrorum aveva motivato la sua elezione a Magister Militum, appena ventisette anni prima. Probabilmente ora Xenocrates e Archimedes si staranno mangiando le mani per quella scelta.

In effetti entrambi erano furenti contro il Magister Militum, ed entrambi per lo stesso motivo, le innovazioni che stava cercando di operare contro lo spirito della tradizione. Diverso era però ciò che li portava convergere su questo punto. Se per Xenocrates era soltanto la venerazione di quelle scelte degli antenati di cui lui stesso era il sommo custode, per Archimedes i motivi erano più oscuri, per quanto ugualmente antichi.
Più di sei millenni prima, quando le Ceneri Ardenti si chiamavano ancora Dragoni Sanguinari e il loro pianeta capitolare, Beltsabel, non era ancora stato distrutto, una nutrita comunità di tecnopreti dell’Adeptus Mechanicus viveva fianco a fianco con gli Space Marine nella loro fortezza capitolare. Il motivo di quella convivenza era sconosciuto ai più, frutto di un accordo segreto tra il primo Gran Maestro del Capitolo e il Fabbricatore Generale di Marte.
Fu grazie a quegli accordi che i pochi Marine sopravvissuti alla distruzione di Beltsabel riuscirono a fuggire e riorganizzarsi come Ceneri Ardenti, l’evento conosciuto come Rifondazione. Ma questa è storia ben nota.
Quello di cui pochi sono a conoscenza è la silenziosa guerra civile che si scatenò all’interno della comunità dei tecnopreti e della matassa di intrighi che la fazione vincente mise in atto per approfittare della congiuntura favorevole.
È grazie agli sforzi del Logis Hektatrix che i Dragoni Sanguinari evitarono di tornare in seno all’Imperium a leccarsi le ferite e scelsero di riprendersi in segreto prima di tornare per vendicarsi. Sarebbe stata un’onta troppo grave ammettere di non essere stati in grado di proteggere il proprio pianeta ed essere fuggiti; meglio far credere di essere periti tutti nel tentativo, disse.
È sempre grazie a lui che passò il principio della separazione dei poteri e fu fondato il Cumclave Magistrorum. Tanto potere in mano a un solo individuo poteva portare danni irreparabili, disse, bastava guardare all’operato del Gran Maestro Lervan. Un organo conciliare avrebbe potuto ridurre di molto i rischi.
Quello che a lui stava a cuore però non era la sorte del capitolo, bensì il proprio tornaconto personale. Gli adepti del Mechanicus rappresentavano l’unico accesso a tutte le conoscenze di cui un capitolo ha bisogno per sopravvivere. I Tecnopreti avrebbero formato i Techmarine, mentre i Genetor avrebbero trasmesso le loro conoscenze agli Apotecari. In questo modo, due dei cinque seggi del Cumclave Magistrorum sarebbero sempre stati occupati da qualcuno di legato agli adepti del Mechanicus, che così avrebbe potuto far sentire forte la propria influenza pur senza renderla mai palese.
Nel tempo, Hektatrix sperava, si sarebbero apportati altri cambiamenti, e i suoi successori sarebbero riusciti ad ottenere il controllo diretto del Capitolo. Che nel frattempo, grazie al rifiuto di ampie parti del Codex Astartes (in parte anche questo fu orchestrato da lui), sarebbe cresciuto fino a diventare una delle più potenti forze di guerra dell’Imperium.
Era il sogno di un visionario, la storia dimostra che gli eventi non andarono come aveva pianificato. Non tutti i Techmarine e gli Apotecari erano pronti a mettere la fedeltà al Mechanicus prima di quella al Capitolo.
Tuttavia l’influenza dei tecnopreti continua a restare molto forte. Solo, in quei sei millenni si sono macchiati di eresie che Marte non gli perdonerebbe mai. Se l’Inquisizione indagasse sulle Ceneri Ardenti, verrebbero senza dubbio scoperti e mandati a morte. È per questo che Archimedes, devoto al Dio Macchina al di sopra di ogni altra cosa, odia Laertes per essere uscito allo scoperto. Ed è sempre per questo che, ora come ora, non può azzardarsi a fare nessuna mossa sospetta contro di lui.

Il piano di Laertes

Il Capitano Macrobio Callichles diede l’ordine di dare più potenza ai motori soltanto per sentirsi rispondere che la Thinderhawk stava già viaggiando a tutta forza, il che non lo aiutò certo a ridurre la sua smania di combattere. Gli Eldar che stava inseguendo si erano macchiati di uno dei crimini più gravi dal punto di vista delle Ceneri Ardenti: avevano trafugato il Caly Lacrymarum, la sacra coppa in cui furono raccolte le lacrime di amarezza dei superstiti alla distruzione di Beltsabel.
La prima battaglia era già stata vinta, il calice era di nuovo saldamente nelle loro mani, ma parte della feccia xeno era riuscita a mettersi in salvo.
«Ancora per poco,» si disse Callichles. Non vedeva l’ora di versare il loro maledetto sangue alieno nelle sabbie assetate del settore Mecadon.
Proprio in quell’istante udì un singolo suono, come il rintoccare di una grande campana nella navata deserta di un tempio, echeggiare nel comunicatore inserito nel suo orecchio. Tocco la runa di comunicazione e rimase esterrefatto nell’ascoltare la voce del Magister Militum dargli un ordine inatteso: «Non uccideteli tutti, cercate di fare quanti più prigionieri possibile».
Che diavolo hai in mente, Arcesio? si domandò il Capitano della Prima Compagnia.

C’era qualcosa di strano nelle forze degli Eldar. Li stavano aspettando schierati apertamente in formazione da battaglia e, per quanto lo sguardo potesse spaziare fino all’orizzonte, sembrava che non ci fosse nessuna unità di rinforzo in attesa. Forse dormivano sotto le sabbie o erano mimetizzati dai loro generatori olografici? Oppure sarebbero usciti direttamente dalla Rete nel bel mezzo del campo di battaglia?
Sembrava tutto molto strano. Possibile che si fossero semplicemente resi conto di non poter fuggire al loro destino? Oh, al diavolo, si trattava soltanto di tenersi pronti a reagire a qualsiasi minaccia – è questa, in fondo, la vita di uno Space Marine!
Poi però si accorse di un fatto strano. Il nemico si era asserragliato in una posizione facilmente difendibile, sulla sommità di una mastodontica duna, ma il suo schieramento non era compatto. Tra alcune unità erano stati lasciati dei buchi evidenti, come se gli volessero essere assaltati proprio in quel punto, o come se fossero schierati attorno a unità invisibili, oppure… sabbie mobili, intuì Callichles, maledette trappole letali che ti lasciano esposto al fuoco nemico. Gli avevano detto che i deserti di Mecadon ne erano pieni. Sorrise. Gli Eldar si credevano furbi, ma loro erano gli angeli della morte, le armate di èlite dell’Imperium, e non potevano essere raggirati da un trucchetto così da poco.
Il portellone di sbarco della Thunderhawk cominciò ad aprirsi e le squadre di assalto a scaldare i reattori dorsali mentre una capsula d’atterraggio sfrecciava verso terra a velocità supersonica, lasciando una scia bianca dietro di sé. Il Capitano sollevò l’alabarda a energia sopra la testa e arringò i suoi guerrieri: « Quando eravate Cuccioli appena accettati tra le fila del Capitolo, c’è una frase che i vostri sergenti istruttori vi hanno ripetuto fino alla morte: “Aspetta nelle ombre il momento giusto per colpire. Lascia solo cenere quando te ne andrai.” È il più importante dei nostri precetti tattici, ma stavolta non possiamo applicarlo. Stavolta a quanto pare siamo attesi, non ci muoviamo tra le tenebre ma cavalchiamo un raggio di luce. Fratelli! Forse che lasceremo comunque in piedi qualcosa di più che cenere?»
«No!» ruggì all’unisono una trentina di gole desiderose di battaglia.
«Bene! Ricordate Beltsabel!» urlò, lanciandosi per primo per dare l’esempio.

La battaglia fu aspra. Non è facile combattere per fare prigionieri, specialmente se il tuo avversario sa di non avere nulla da perdere e si impegna per ucciderti. Le armature potenziare erano una delle cose più resistenti nell’intera galassia, ma non erano indistruttibili. Quando finalmente sulla nave da battaglia Qoeleth si riuscì a mettere in funzione gli apparecchi di teletrasporto e la squadra Terminator del sergente Pelias giunse sul campo di battaglia, s’era ancora molto da essere fatto. La vittoria alla fine arrise alle Ceneri Ardenti, ma era una vittoria di misura. Molti confratelli erano rimasti feriti nello scontro e un Dreadnought era rimasto pesantemente danneggiato.

L’autarca Amriel, il capo di quel gruppo di Eldar incespicò e cadde. Era esausto. Ormai era finita, doveva rassegnarsi alla morte. Si voltò in tempo per vedere uno Space Marine in armatura verde che alzava l’alabarda per sferrare un colpo mortale. È giunta la mia ora, pensò Amriel, e chiuse gli occhi.
Il colpo fatale però non arrivò.
Uno sfrigolio. Odore di Ozono. Una voce sconosciuta: «Fermo, Macrobio. Hai fatto un ottimo lavoro fin qui, ma adesso tocca a me».
L’autarca aprì gli occhi, confuso. Un altro guerriero nemico era comparso apparentemente dal nulla. Indossava un’armatura verde enorme, la sua testa era celata dietro un elmetto dalle fattezze di un teschio. Una delle sue mani aveva lame crepitanti come dita, nell’altra stringeva una mazza dalla sommità circonfusa di fiamme.
Il mon-kheig che stava per ucciderlo si era irrigidito sull’attenti in segno di rispetto.
«Apri bene quelle orecchie a punta che ti ritrovi, Eldar, – disse il Gran Maestro Arcesio Laertes, – c’è un solo motivo per cui tu e i tuoi non siete ancora andati a farvi una bevuta coi vostri antenati. Rifletti bene su quello che sto per dirti, perché dipende tutto da te. Ti farò un’offerta che non potrai rifiutare…»

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